DIRETTORE RESPONSABILE FRANCESCO CARRASSI

11 Maggio 2024

Una piaga sociale per i principi fondamentali di uguaglianza

AGIPRESS – Nella società attuale la violenza e gli abusi di genere rappresentano una piaga sociale diffusa che mina i principi fondamentali di uguaglianza e dignità sanciti dalla nostra Costituzione. Tuttavia, per affrontare efficacemente questa problematica, è necessario adottare un approccio che trascenda il concetto stesso di violenza di genere, partendo proprio dall’articolo 3 della nostra Carta Fondamentale. La straordinaria importanza di questo articolo, nato in un periodo storico in cui abbiamo conosciuto le più profonde disuguaglianze e divisioni, non solo politiche, ma anche sociali, del nostro Paese, è proprio nel suo potere inclusivo: viene stabilito il principio di uguaglianza formale dei cittadini davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali.

Questo principio, fondamentale per il mantenimento dello stato di diritto e per la tutela dei diritti umani, costituisce la base su cui fondare una società libera nel pieno senso della parola, in cui ogni diversità, ogni differenza, non ha valenza negativa, ma di condivisione e rispetto. Ma soprattutto, al comma due viene affermato il cosiddetto principio di uguaglianza sostanziale secondo cui è “compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

La nostra Costituzione impone proprio allo Stato, utilizzando la parola “compito”, quindi dovere, di rimuovere gli ostacoli che impediscono di raggiungere le condizioni per una piena e completa uguaglianza. E non si parla solo dell’organizzazione politica, economica e sociale del Paese: viene citato anche il «pieno sviluppo della persona umana», che ricorda un po’ la famosa formula della «ricerca della felicità» contenuta nella Dichiarazione d’indipendenza americana, che prescrive l’obbligo per lo Stato di impegnarsi perché tutti i suoi cittadini abbiano la possibilità di realizzare le proprie aspirazioni. Lo Stato non dovrebbe essere un amplificatore di disuguaglianze, cristallizzando nel tessuto normativo e burocratico delle differenze già presenti nella società: lo Stato dovrebbe essere il collante tra i generi, i tessuti sociali, le religioni, un luogo ove poter esplicare appieno la propria personalità.

Sappiamo benissimo come in numerose altre Nazioni al mondo ciò non avvenga: pensiamo agli Stati che ancora perpetrano barbarie nei confronti delle donne, viste come inferiori e non meritevoli degli stessi diritti degli uomini. O ancora, agli Stati che perseguitano i fedeli per la propria religione, o le persone per il proprio orientamento sessuale. Trovarsi in uno Stato con una delle Costituzioni più inclusive al mondo, frutto di guerre, lotte, ideali, dovrebbe essere un incentivo a non tradire il dettato dei padri Costituenti, a non tradire l’idea di una società che, in uno dei nostri periodi storici più bui, abbiamo faticato per ottenere.

Ad esempio, per quanto riguarda le pari opportunità tra uomo e donna, gli artt. 37 e 51 della Costituzione ci ricordano come la donna lavoratrice abbia gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore e che tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine, ancora, come stabilito dall’art. 3, è proprio la Repubblica a dover promuovere con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.

Prof.ssa Avv. Paola Balducci, componente osservatorio permanente sulla violenza di genere del Ministero della Giustizia

Eppure, oggigiorno, la violenza, i soprusi, la prevaricazione, appare apparire in numerosissimi ambiti della vita quotidiana.
Difatti, con “violenza di genere” facciamo riferimento a più fenomeni, non suscettibili di essere ricondotti ad un modello unitario: non si parla solo violenza fisica e sessuale, ma anche psicologica, economica, sociale, che si verifica nella maggior parte dei casi all’interno della famiglia o del nucleo familiare, ma anche all’esterno, in un luogo pubblico, sul posto di lavoro.

Parlare di violenza di genere significa prendere atto di come la prevaricazione, il possesso e gli abusi possano manifestarsi in maniere e forme differenti. Educare al riconoscimento dei soprusi e stimolare azioni specifiche per chi subisce violenza è un compito arduo, sicuramente difficile da raggiungere in quanto presuppone innanzitutto un grande atto di coraggio. Molte persone non denunciano e rischiano di rimanere vittime anche se denunciano. Si parla spesso di vittimizzazione secondaria, che conduce alla colpevolizzazione della vittima. Si tratta del fenomeno in cui le persone che sono vittime di un crimine, specialmente di violenza sessuale, affrontano una seconda forma di aggressione. Questa volta, però, i responsabili sono le istituzioni stesse, i pregiudizi culturali e gli stereotipi diffusi nella società.

Le stesse autorità che dovrebbero contrastare la violenza spesso non la riconoscono o la minimizzano: purtroppo siamo da troppo tempo davanti ad un contesto in cui mancano agenti di polizia giudiziaria preparati sul tema. Nel nostro Paese mancano strutture dedicate alla violenza di genere. Perlomeno nelle grandi città possiamo trovare strutture e risorse adatte a far fronte al fenomeno della violenza di genere, ma nel resto del territorio nazionale siamo davanti ad una grave mancanza di magistrati, cancellieri e agenti di PG in grado di ricevere correttamente una denuncia ed avviare l’iter burocratico necessario al fine di proteggere la vittima.

Di recente è entrata in vigore anche una riforma al c.d. Codice Rosso, secondo cui se entro tre giorni il pubblico ministero non ascolti la persona o la polizia giudiziaria non fornisca le informazioni per appurare se la denuncia della donna sia fondata oppure no, il PM può o avocare a sé l’inchiesta o trasferirla ad altro Pubblico Ministero. Tutto ciò proprio nell’ottica di agire tempestivamente e non lasciare che le denunce delle donne rimangano sospese nel nulla. Tuttavia, occorrerebbe una riforma generale della giustizia penale, ben strutturata, in quanto anche davanti a riforme volte a velocizzare l’iter procedimentale relativo ad una denuncia, si rischia di ricadere in tempi lunghissimi per quanto riguarda le fasi del processo e del dibattimento, dove la lunghezza rischia di diventare irragionevole, con buona pace del principio della ragionevole durata del processo consacrato nella nostra Carta Costituzionale. AGIPRESS

Prof.ssa Avv. Paola Balducci, componente osservatorio permanente sulla violenza di genere del Ministero della Giustizia

 

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