Il commento di Marcello Mancini
Nel cimitero polacco di Loreto, dove sono sepolti soldati di diverse fedi, ci sono due tombe. L’una accanto all’altra, di due giovani ammazzati, che hanno combattuto insieme per restituirci la libertà dopo l’oppressione del nazifascismo e sono morti a pochi giorni di distanza. Su una lapide è scolpita la stella di David, sull’altra la mezzaluna dell’islam. Due religioni che oggi si odiano e che hanno pianificato la distruzione reciproca.
La guerra è diventata una tragica abitudine. Fateci caso: non fa più effetto leggere i giornali e ascoltare le notizie, che ci raccontano di stragi quotidiane, sangue, massacri. Sul fronte ucraino e su quello mediorientale. Quando esplose il conflitto in Ucraina, e dopo, quando Hamas e Israele iniziarono a massacrarsi, i toni dell’opinione pubblica erano altissimi. Scandalizzati. Oggi sono diventati ordinaria amministrazione. Non c’è giornata che non proclami telefonate fra Macron e Putin, fra Trump e Macron, fra Starmer e Putin. Gli appelli alla pace che tutti, indistintamente rilanciano, cadono nel vuoto e sembrano un doveroso ritornello al quale nessuno vuole sottrarsi e che non ottengono alcun risultato. Si annunciano tregue che, sistematicamente, vengono disattese. Per pudore sarebbe meglio che i leader del mondo cominciassero a tacere. Almeno finché non taceranno, davvero, anche le armi.
Qualcuno ha idea di quante vittime ci siano state negli ultimi anni? Ai numeri, che all’inizio dei conflitti venivano enfatizzati con raccapriccio, oggi non fa più caso nessuno.
Il presidente Usa aveva baldanzosamente assicurato che, una volta eletto, in pochi giorni avrebbe <costretto> alla pace Russia, Ucraina, Hamas e Israele, e infine anche l’Iran. Nulla di tutto questo è accaduto. Trump continua specchiarsi nelle parole, nelle promesse. Una commedia del ridicolo. Gli scenari di guerra non si fermano, anzi, si allargano. Lo spettro dell’escalation nucleare permane sulle nostre teste. Si parla di pace ma si pensa al riarmo.
Conviviamo con il terrore, sperando che le bombe riguardino comunque gli altri. In casa nostra è come se niente fosse: siamo un perenne Titanic, mentre tutto affonda, noi balliamo con le nostre piccolezze umane e politiche. La faziosità, il tornaconto per le elezioni sempre prossime, la contrapposizione ideologica restano l’aspetto più importante. Quando invece servirebbe una comune strategia per rafforzare il Paese e sentirsi più sicuri.
Nello scenario contemporaneo il grande assente è l’Organizzazione che era nata proprio per coordinare tutte le nazioni, perché fossero unite dagli intenti di pace del consesso internazionale. L’Onu, ormai, non serve più a nulla. Sarebbe il caso di cambiarne l’identità o smantellarla, e risparmiare così un colossale spreco di denaro, che potrebbe essere utilizzato con scopi migliori e più utili all’umanità.
Quella tomba nel cimitero di Loreto resta un’utopia. Un sogno spezzato. E la pace, solo una parola gonfia di retorica. Che dovremmo smettere di pronunciare, finché non sarà affettivamente raggiunta.