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20 Ottobre 2025

L’urlo silenzioso degli innocenti

AGIPRESS – “A volte mi sentivo invisibile. Come se il mondo mi guardasse, ma non mi vedesse davvero” (testimonianza raccolta in un gruppo di supporto per adolescenti LGBTQIA+). Ogni giorno, nel mondo, circa 400 giovani si tolgono la vita. In Italia, secondo le stime dell’OMS, undici ragazzi o ragazze muoiono di suicidio ogni giorno. Numeri che fanno paura e che raccontano una sofferenza profonda, spesso taciuta, nascosta dietro sorrisi e vite apparentemente normali.Il suicidio è oggi tra le principali cause di morte tra i 15 e i 29 anni. Ma dietro le statistiche si nascondono storie, non numeri: esistenze giovani spezzate da solitudini, discriminazioni e silenzi.Tra i più colpiti da questo dramma ci sono i ragazzi e le ragazze LGBTQIA+ , giovani che affrontano il doppio fardello della crescita e della non accettazione.

Uno studio del Trevor Project (2021) ha rivelato che il 42% dei giovani LGBTQIA+ ha pensato seriamente al suicidio: quasi uno su due. Dietro questi dati sconvolgenti si nasconde un mondo di vergogna, isolamento e mancanza di ascolto. Crescere, per loro, significa spesso camminare su un filo sottile tra il desiderio di essere se stessi e la paura di essere rifiutati. Molti imparano presto che mostrarsi “diversi” può avere un prezzo alto: quello dell’esclusione, del bullismo o del giudizio. Frasi come “non dirlo a nessuno” o “ti passerà” diventano piccole ferite quotidiane che, sommate, scavano voragini di dolore. Gli psicologi parlano di stress da minoranza (Testa, 2015; De Lange, 2022): una sofferenza invisibile che logora l’autostima, aumenta l’ansia e spinge alla depressione. E quando il dolore resta inascoltato, la mente inizia a chiedersi se valga davvero la pena continuare. Non tutti scelgono il silenzio. C’è chi trova il coraggio di dire “sono così”, di fare coming out, di vivere apertamente la propria identità.

Ma spesso, dopo il coraggio, arriva la condanna. In Italia e nel mondo ci sono ancora giovani cacciati di casa, derisi a scuola, umiliati online. “Ho detto a mia madre che mi piacciono i ragazzi. Mi ha detto che per lei ero morto,” racconta un diciassettenne in una testimonianza anonima. Il rifiuto familiare è uno dei principali fattori di rischio per il suicidio giovanile. La casa, che dovrebbe essere rifugio e protezione, diventa per molti un luogo di paura o silenzio. Secondo Toomey (2018) e Bos (2014), i giovani LGBTQIA+ che ricevono supporto dai genitori hanno una probabilità di tentato suicidio quattro volte inferiore rispetto a chi vive in ambienti ostili. L’amore, in questi casi, può letteralmente salvare la vita.Il mondo digitale, nato per connettere, è spesso un amplificatore di solitudine.

Sui social, ogni diversità diventa un bersaglio facile. Un commento, una foto, un insulto ,un adolescente fragile può sentirsi schiacciato da un’ondata di odio.Il bullismo, e in particolare quello omofobico, resta una delle piaghe più dolorose tra i giovani. Uno studio ha evidenziato che gli studenti LGBTQIA+ subiscono atti di bullismo tre volte di più rispetto ai loro coetanei eterosessuali. E, sorprendentemente, anche chi bullizza non è immune alla sofferenza: secondo Espelage e Holt (2013), anche i bulli presentano un rischio di pensieri suicidari fino a cinque volte maggiore rispetto ai non coinvolti. Dietro la violenza, spesso, si nasconde un’altra forma di fragilità.Il suicidio non arriva mai “all’improvviso”: è il punto d’arrivo di un dolore che dura nel tempo.

La differenza tra una vita salvata e una vita spezzata può stare in un gesto semplice: ascoltare. Famiglie, insegnanti, amici devono imparare, come ricorda l’autrice, ad avere “grandi occhi e grandi orecchie”: osservare i segnali, cogliere i silenzi, dare spazio alle parole non dette.Un ragazzo che si isola, che perde interesse, che si spegne piano piano, non va liquidato come “capricci adolescenziali”. Dietro il suo silenzio può nascondersi una richiesta d’aiuto. La scuola, primo luogo di socializzazione, deve diventare una casa emotiva, dove si insegna il rispetto e dove chiedere aiuto non è vergogna ma forza. Affrontare il suicidio giovanile non è solo compito della psicologia, ma della società intera. Serve un cambiamento culturale: più empatia, più educazione affettiva, più spazio per la fragilità. Parlare di suicidio non significa diffonderlo, ma rompere il silenzio che lo alimenta. Dietro ogni vita persa c’è un’occasione mancata di ascolto. E forse, basterebbe davvero poco uno sguardo attento, una parola gentile, una mano tesa per ricordare a un giovane che non è invisibile.Perché nessuno, mai, dovrebbe arrivare a pensare che il mondo sarebbe un posto migliore senza di lui.

Alessandra Campanini, Psicologa

AGIPRESS

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