
AGIPRESS – Guillermo del Toro torna dietro la macchina da presa con Frankenstein, un’opera monumentale che segna uno dei momenti più intensi e maturi della sua carriera. Dopo anni di desiderio e rinvii, il regista messicano realizza finalmente la sua personale rilettura del capolavoro di Mary Shelley, trasformandolo in una parabola metafisica sul dolore, la solitudine e la ricerca di Dio nell’uomo. Presentato in concorso all’82ª Mostra del Cinema di Venezia, il film arriverà nei cinema italiani il 22 ottobre, distribuito da Netflix, prima di approdare sulla piattaforma il 7 novembre.
Ambientato quarant’anni dopo la morte di Victor Frankenstein (Oscar Isaac), avvenuta tra i ghiacci artici, il racconto si apre con la figura enigmatica del dottor Pretorius (Christoph Waltz), incaricato di ritrovare il Mostro, creduto scomparso in un incendio. Il suo intento è quello di proseguire le ricerche proibite del defunto scienziato, spingendosi oltre le leggi della morale e della natura. Attraverso una struttura narrativa a incastro, del Toro alterna presente e passato, ricostruendo la nascita e l’evoluzione della Creatura (Jacob Elordi): un essere che, da abominio di laboratorio, si trasforma in simbolo vivente della condizione umana, condannato a desiderare un’anima che non possiede.
Il film si distingue per il suo tono elegiaco, sospeso tra dramma gotico e riflessione esistenziale. Del Toro abbandona l’orrore tradizionale per abbracciare un’estetica spirituale e malinconica, dove la mostruosità diventa una metafora della colpa e dell’abbandono. Il Mostro non è più l’incarnazione della paura, ma una creatura che legge, pensa, ama e soffre, specchio del peccato originale e dell’eterno conflitto tra creatore e creatura. Visivamente sontuoso, Frankenstein unisce la cura artigianale dei set e delle luci tipica del regista a una fotografia che fonde ombra e calore, vita e decomposizione. Ogni inquadratura sembra scolpita per interrogare lo spettatore sul confine tra scienza e fede, sulla tensione che anima ogni atto creativo.
Con questo film, Guillermo del Toro non si limita a reinventare un mito letterario: ne riscopre l’essenza più profonda, restituendogli tutta la sua potenza tragica e universale. Frankenstein diventa così una riflessione intima sull’identità, sull’amore e sulla responsabilità creatrice dell’essere umano.
Elena Sofia Vitali
AGIPRESS





