
AGIPRESS – Sapevate che anche i papà partoriscono? Ma nessuno lo dice! Sia chiaro che non sto dicendo una cosa fantasiosa, i papà partoriscono, con l’anima. La nascita di un bimbo, può creare, momenti di fatica e di sacrificio. Quando arriva un neonato nella famiglia, l’attenzione verte sulla madre: con tutti i suoi cambi fisiologici e psicologici. Il padre, invece, resta spesso sullo sfondo, come una figura di sostegno, una spalla. Ma dietro quella “forza”, può nascondersi un dolore silenzioso: la depressione perinatale paterna, un disturbo ancora poco conosciuto ma sempre più diffuso. Diventare genitore significa attraversare una trasformazione personale molto profonda. Per gli uomini, l’arrivo di un figlio mette in discussione sia l’immagine di sé, che il rapporto con il tempo, il lavoro, e soprattutto la coppia.
Sentirsi inadatto in tutto ciò in cui viene chiesta la sua partecipazione, può essere vissuto come una perdita di libertà. Le notti insonni, la stanchezza cronica, la pressione di “dover essere forti” diventano frasi che rimbombano nella loro testa, ma che all’atto pratico diventano infattibili. Tutto questo spesso non viene riconosciuto in una depressione, perché la nostra società impone un certo stigma in cui il dolore maschile deve mascherarsi: spesso non si manifesta con lacrime o apatia, ma con un mix di emozioni che portano all’isolamento. Questa sofferenza “compressa”, resta intrappolata nel corpo e nei silenzi. È stato appurato dalle neuroscienze qualcosa di molto interessante che, durante la gravidanza della partner, anche il cervello del padre cambia, cerchiamo di capire come.
Avviene un calo del testosterone, un aumento della prolattina, ed alcune aree cerebrali legate all’accudimento si attivano, come se l’organismo si preparasse a “sentire” il bambino.
È una metamorfosi biologica che accompagna quella psicologica: l’uomo non è più solo figlio, marito, professionista, ma diventa padre. Questa trasformazione però, se non viene accompagnata e compresa, può generare spaesamento.
La società chiede agli uomini di essere presenti, ma non spiega come esserlo. Chiede sensibilità, ma non offre modelli emotivi a cui ispirarsi. Così, molti padri si ritrovano soli in un territorio sconosciuto, tra l’amore immenso e la paura di non farcela. Si stima che circa il 10% dei padri sviluppi una forma di depressione nei mesi successivi alla nascita del figlio, spesso in concomitanza con la depressione materna. Ma il numero reale potrebbe essere molto più alto, perché pochi cercano aiuto e ancora meno ricevono una diagnosi. Le conseguenze non riguardano solo il padre: l’intero equilibrio familiare può risentirne. La relazione di coppia si incrina, la comunicazione si fa tesa, e il bambino che assorbe come una spugna gli stati emotivi dei genitori può sviluppare difficoltà di regolazione affettiva, ansia o insicurezza.
In altre parole, la depressione paterna è un disturbo sistemico, che tocca tutti i legami. Riconoscere la sofferenza dei padri non significa togliere spazio alle madri, ma ampliare lo sguardo sulla genitorialità.
È tempo che anche gli uomini possano parlare di fragilità, senza paura del giudizio.
Servono spazi d’ascolto, percorsi di preparazione alla paternità, psicologi formati sulle dinamiche perinatali maschili. E serve, soprattutto, una cultura che smetta di dire “un uomo deve essere forte” e inizi a dire “un uomo può anche avere bisogno”. Anche le politiche sociali possono fare la differenza.
Il congedo di paternità, ancora troppo breve e sottoutilizzato in Italia per esempio, non è solo un diritto lavorativo, ma uno strumento di prevenzione psicologica: permette al padre di creare un legame affettivo precoce con il figlio e di vivere attivamente la nuova dimensione familiare. Proprio in questi giorni la Spagna ha approvato una legge a riguardo, per cui il congedo parentale paterno di 19 settimane viene equiparato totalmente a quello materno, e quindi retribuitile al 100%. Invece in Italia siamo purtroppo lontani da tutto ciò, perché il congedo obbligatorio per i papà è di 10 giorni e possono utilizzarlo nei due mesi precedenti oppure nei successivi 5mesi dopo la nascita, pagati al 100%. Se invece viene esteso a 6mesi la retribuzione è dell’80% della retribuzione, nella prima metà, poi del 30% nella seconda. Infine voglio sottolineare che ogni padre vive il proprio parto simbolico, tra gioia e paura, entusiasmo e smarrimento. Accogliere questa complessità significa umanizzare la paternità, farne non un ruolo secondario, ma una parte viva del percorso di crescita della famiglia. Raccontare la depressione perinatale paterna, darle un nome e un volto, è il primo passo per spezzare un tabù. Perché dietro ogni silenzio, dietro ogni sorriso forzato, c’è una richiesta d’aiuto che non viene presa in considerazione.
Alessandra Campanini, Psicologa
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