AGIPRESS – ASSISI – Sono immersi nella preghiera e nell’assistenza dei tantissimi fedeli pellegrini che in questi giorni affollano la città serafica dove è stato allestito anche un maxischermo (nel piazzale antistante la basilica inferiore) per assistere in diretta da Roma alle esequie del pontefice. Il legame tra i francescani di Assisi e il Vaticano del resto è sempre stato molto forte. Ma forse con papa Francesco ha avuto un “peso”, se possibile, ancora più significativo. A cominciare dal fatto che è stato il primo Pontefice della storia a scegliere il nome di un santo del secondo millennio che incarna una Chiesa umile, vicina ai poveri e impegnata nella cura del Creato. Un messaggio al tempo stesso di rinnovamento e ritorno all’essenza del Vangelo.
Ma quali sono le affinità spirituali e pratiche che accomunano Ignazio di Loyola e Francesco d’Assisi in questa scelta?
“Mi colpisce sempre – è la risposta di padre Marco Moroni Custode del Sacro Convento di Assisi che con papa Francesco ha avuto un rapporto di sincera condivisione su temi a entrambi molto cari -, quando la spiritualità ignaziana e quella francescana vengono messe in rapporto e quasi in contrapposizione. Che io non vedo in realtà, trovo piuttosto che siano espressioni di quell’unica spiritualità cristiana che siamo chiamati tutti a vivere. In Ignazio di Loyola vedo una codificazione, cioè la possibilità di utilizzare, diciamo così, un metodo spirituale, che però si adatta ad ogni sensibilità, per cogliere con finezza e profondità le varie situazioni e riuscire così a fare discernimento. Certo, san Francesco questo non ce l’ha insegnato, ma l’ha vissuto. E allora non ci sono contrapposizioni, c’è piuttosto un’affinità anche, per esempio, nel rapporto con la povertà e nel ricercare in mezzo alle dinamiche sociali le questioni più importanti per tentare di affrontarle in maniera evangelica. Cosa tipica sia dei francescani che dei gesuiti” ordine al quale come noto apparteneva Bergoglio.
Come è nata e si è sviluppata la relazione del Papa con il Sacro Convento?
“È una relazione sorgiva, quella tra il papato e il Sacro Convento che è di proprietà della Santa Sede come la Basilica di San Francesco. Una basilica papale voluta da Papa Gregorio IX perché ospitasse il corpo di Francesco d’Assisi e perché lo indicasse al mondo. Tutto questo è diventato storia e a maggior ragione lo è diventato oggi con un papa che ha scelto di chiamarsi Francesco e che ha in qualche modo voluto, fin dall’inizio, mettere inevidenza i contenuti della testimonianza di san Francesco e la sua sensibilità. Si tratta quindi di una relazione che è cresciuta nel tempo e che è maturata proprio a partire dalla scelta del nome”.
In che modo Papa Francesco ha reinterpretato il messaggio di San Francesco d’Assisi nel suo pontificato, in particolare in encicliche come ‘Laudato si’’ e Fratelli tutti’?
“Papa Francesco ci ha insegnato a capire che il messaggio francescano non è finito, cioè non ha finito di portare frutti, ma ancora oggi può rispondere alle esigenze e alle problematiche del mondo in maniera sempre nuova. Ci ha spronati anche come frati ad approfondire sempre più questo messaggio di Francesco d’Assisi e a farlo nostro per farne emergere l’attualità. In particolare mi piace ricordare due temi – già individuati nella domanda stessa: la fraternità universale e l’amicizia sociale nella ‘Fratelli tutti’ e il rapporto con il creato nella ‘Laudato si’’ – ma senza dimenticare, per esempio, Economy of Francesco. Ripensare un’economia a misura d’uomo, che sia a servizio dell’umanità, mi sembra qualcosa di profondamente francescano”.
Ricorda un incontro o un momento particolare vissuto con papa Francesco ad Assisi che le è rimasto nel cuore?
“La prima volta in cui venne qui. Era il 4 ottobre del 2013, era Papa da alcuni mesi, si trattava di una delle prime uscite fuori Roma e quel giorno si vedeva che era stato molto segnato da un evento avvenuto pochi giorni prima, un grande naufragio a Lampedusa con molti morti. Arrivato in Assisi incontrò inoltre per primi i ragazzi disabili gravi dell’Istituto Serafico. Arrivò solo verso sera a celebrare l’eucaristia qui nella nostra piazza inferiore della Basilica di san Francesco e cogliemmo tutti quanto queste esperienze lo avessero marcato: era molto assorto nella celebrazione e lesse anche l’omelia, che lui stesso aveva preparato, esprimendo tutta la sua sofferenza per quanto era avvenuto”.
L’eredità che lascia Bergoglio è complessa…
“Certo papa Francesco è stato per tanti aspetti un innovatore, o meglio ha fatto ciò che lui stesso nella ‘Evangelii gaudium’ dice che è bene fare: ‘è più importante iniziare processi che occupare spazi’. Mi sembra che abbia iniziato molti processi, all’interno della Chiesa – penso a tutto il tema della sinodalità, al rinnovamento della sua organizzazione (che è almeno iniziato, poi certo occorrerà continuarlo) – ma penso anche alle modalità di dialogo col mondo che Francesco ha vissuto in maniera particolare, mettendosi davvero a servizio e parlando con tutti senza distinzioni”.
Il successore potrebbe chiamarsi Francesco?
“Chi lo sa? Certo questo sarebbe un segno di continuità ma si tratterebbe anche di una responsabilità enorme che il nuovo pontefice si metterebbe sulle spalle. Io arrischio un’ipotesi, e cioè che il nuovo Papa preferirà non chiamarsi Francesco, perché vorrebbe dire tentare in qualche modo di imitare il suo predecessore. È interessante ricordare però che quando – non troppo tempo fa – incontrammo papa Francesco a tu per tu, invitandolo anche ad Assisi per alcune prossime ricorrenze, lui ci disse che forse sarebbe venuto Giovanni XXIV. Questo riferimento ad un altro papa, al “papa buono”, al papa che ha ideato, indetto e iniziato il Concilio Vaticano II mi fa pensare. Che non sia questo il segno nuovo da dare alla Chiesa attraverso il nuovo Pontefice, che papa Francesco in qualche modo ha profetizzato?”.
Donatella Miliani
AGIPRESS